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Erjon Nazeraj nasce il 12 ottobre 1982 a Fier, nell’Albania sud-occidentale. Vive e lavora a Parma.

Nel 2001 si diploma al Liceo Artistico Jakov Xoxa nella città di Fier. Prosegue i suoi studi accademici in Italia, dove nel 2008 si laurea con il vecchio ordinamento in scultura, all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Tutto, nel lavoro di Erjon Nazeraj, è sincretismo. Senza notarne le parti, in quantità differenti, s’amalgamano in un tutt’uno concezioni diverse. L’opera è ciò che consente l'incontro, non più materia che separa e definisce una cosa dall’altra. Si contaminano geografie, filosofie, spiritualità, figlie della natura e dell’umano nelle loro istanze più autentiche.

Come sostiene l’artista: “Mi piace l’idea dello sconfinamento, dove il mondo non è solo un luogo ma è lo stato di mescolazione di ogni cosa in ogni altra cosa.”

Così tutte le parti costituiscono già un tutto, come ci insegna la teoria di Anassagora. Per Nazeraj il trascinamento emotivo diviene astrazione visibile, pezzi di corpo divengono paesaggi e contrasti relazionali divengono scultura.

Una ricerca che evidenzia l’intersezione tra il piano sociale e quello individuale: i territori diversi attraversati dall’artista nella sua vita personale raccontano una mutazione identitaria monitorata prima e dopo le esperienze.

Un movimento bidirezionale, che parte da dentro o si ripercuote a livello introspettivo, che è azione stimolante o forse diventa solo dopo attività nel reale.

Come nello scontro di due pietre nasce la scintilla, così nella contrapposizione tra interno ed esterno/ individuale e collettivo, si genera la facoltà di produrre alternative. La possibilità di creare qualcosa d’altro, di modificarsi e modificare la realtà, mira a evolvere verso forme più elevate di comprensione e relazione. Per questo motivo ci si muove. 

                                                                                                                               

                                                                                                                            Testo di Corina Conci

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